Politica

Cento anni dalla battaglia di Piazza Spartaco: un’eterna disputa tra versioni opposte e revisionismo storico

Pubblicato

il

Cento anni. Tanto è trascorso dai fatti di Piazza Spartaco. Una violenza politica da condannare, indipendentemente dalle versioni contrapposte che negli anni si sono susseguite. Oggi ricorre proprio il centenario della battaglia tra fascisti e socialisti (che il giorno dopo sarebbero diventati comunisti), la cui ricostruzione fa ancora discutere. I fatti portati alla luce da uno storico volume dell’indimenticato professore Antonio Barone sono stati ricordati oggi, in piazza Municipio (quella che doveva essere piazza Spartaco) con l’apposizione di una corona d’alloro. E su questo sembrano tutti d’accordo, anche i revisionisti che danno una versione un tantino diversa rispetto a quella raccontata da Antonio Barone.

Questi i fatti narrati dallo storico stabiese. Tutto ha inizio con le elezioni del 31 ottobre 1920 che consegnarono nelle mani dei socialisti il comune di Castellammare di Stabia.  Il 18 gennaio 1921 la giunta comunale guidata dal sindaco Pietro Carrese, primo sindaco socialista della città, deliberò di intitolare a “Spartaco” la piazza del municipio, collocando una lapide con il nuovo toponimo “Piazza Spartaco”  al posto di “Piazza Municipio”. Il 20 gennaio del 1921 i primi fascisti, dopo la sconfitta, subita nelle ultime elezioni comunali organizzarono una manifestazione di protesta e fecero affluire centinaia  di persone, un “mare di ombrelli” ( come definito da Pietro Girace in “Piazza Spartaco- 1921-2001 – Per non dimenticare” edito dal comune di Castellammare di Stabia scritto da Antonio Ferrara), davanti alla sede comunale dove erano già confluiti alcuni gruppi di lavoratori e operai.  Da una parte i lavoratori e dall’altra “schiere di manifestanti, con coccarde tricolori, bandiere di varie associazioni, tricolori e macabri gagliardetti” (scrive Antonio Barone in “Piazza Spartaco”). Lo scontro tra le due fazioni divenne inevitabile. Due colpi di pistola, secondo la versione di Barone, partirono all’improvviso, uno dei quali colpì alla fronte il giovane maresciallo dei carabinieri Clemente Carlino. I militari dell’Arma allora iniziarono a sparare all’impazzata verso chi si dirigeva verso il municipio. In tutto sei morti, tantissimi feriti, medicati nel vicino ospedale (un tempo il nosocomio era proprio a piazza Municipio).

Secondo la versione socialista, quindi, i primi colpi di pistola partirono dal corteo fascista, scatenando così la reazione dei carabinieri.

Leggermente diversa la versione, ad esempio di Giovanni De Angelis, ex consigliere ed assessore, che in questi anni si è occupato di una ricerca storica, condannando in ogni caso la violenza politica di quegli anni: «Con animo sereno e con l’augurio di poter dare un mio contributo, ove possibile e rendendomi disponibile sin da ora ad un eventuale confronto, senza essere tacciato di essere un violento e picchiatore fascista, anche perché non lo sono, con l’intento di provare a ricostruire i delittuosi fatti che si verificarono nella ns Città basandoli su prove documentali (libro del Pof. Barone e del sig. Pietro Girace) e anche giornalistiche dell’epoca tratte dal Mattino, il Roma, il Giornale d’Italia e il quotidiano di partito, di stampo bolscevico, “Ordine Nuovo”, affermo che la verità divulgata in questi giorni sugli organi di stampa (mattino, repubblica e corriere della sera) dal Dott. Luigi Vicinanza, dal Dott. Antonio Ferrara e dal Dott. Matteo Cosenza, oltre che dall’Anpi, è solo una verità di parte non corrispondente probabilmente alla verità storica dei fatti.
Non sono portatore della verità assoluta, ci mancherebbe, ma dare voce agli uni sui maggiori organi di informazione nazionale evitando di ascoltare l’altro non fa bene soprattutto alla Storia e a chi crede di poter giudicare e valutare i fatti con il proprio libero pensiero.

Infatti, leggere dalle note urgentissime dell’epoca del R. Commissariato di Pubblica Sicurezza di Castellammare di Stabia inoltrate al Commissario Prefettizio ove si dichiara che il maresciallo Clemente Carlino decedeva “in occasione di gravissimo conflitto tra la forza pubblica e la folla sovversiva nelle cui mani era allora l’amministrazione della cosa pubblica” non è roba da poco, facilmente evitabile.

Ancora, leggere dall’archivio del museo storico dell’Arma dei Carabinieri Reali come veniva lumeggiato il maresciallo maggiore Carlino Clemente, non è roba da non tener conto se si vuole veramente dare un contributo di verità alla Storia. Tale panegirico afferma: “durante dimostrazione pubblica contro l’amministrazione comunale socialista, cadde sotto colpi d’arma da fuoco, sparati dall’interno del municipio”.

Pertanto, io deporrei una corona di alloro nella piazza, teatro dei delittuosi eventi, nel pensiero commosso e nella memoria di un evento tragico che colpì la Città cent’anni or sono. Con l’impegno e lo spirito che tale deposizione sia da monito che la violenza politica, rossa e/o nera che sia, è sempre da condannare senza se e senza ma. Tutto ciò lo dobbiamo alle future generazioni».

Daniele Di Martino

Leggi anche

Exit mobile version