Attualità
Il cielo non è più vuoto: un Boeing colpito da un frammento di spazio

A bordo del boeing erano in 140, tra passeggeri e membri dell’equipaggio.Alcuni con le cuffiette nelle orecchie, altri già immersi nel lavoro o con il naso appoggiato al finestrino.Quella mattina il volo UA1093 della United Airlines era partito da Denver, diretto verso Los Angeles.Un giovedì qualsiasi, finché qualcosa ha colpito il parabrezza dell’aereo, spezzando la quiete a oltre 10 mila metri d’altitudine.
Un boato secco Il parabrezza multistrato del Boeing 737 Max si danneggia, le schegge feriscono al braccio destro il comandante.Nessuna decompressione, nessuna perdita di controllo.Ma la tensione, quella sì, taglia l’aria della cabina.Il primo a usare quelle parole è proprio lui, il comandante, una volta atterrato: “Un detrito spaziale”.
Nessuna conferma ufficiale, ma l’ipotesi si fa strada tra i tecnici e le agenzie.Potrebbe essere un frammento di satellite, un micro-meteorite, forse un piccolo residuo di tecnologia umana lasciato fluttuare sopra di noi.Per l’equipaggio non c’è tempo per pensare: scendono di quota e deviano verso Salt Lake City, lo scalo più vicino.L’atterraggio d’emergenza avviene senza intoppi.
I passeggeri, tutti illesi, vengono trasferiti su un altro velivolo.Il comandante, ferito in modo lieve, riceve assistenza medica.Secondo i dati della Federal Aviation Administration (FAA), il rischio che un aereo commerciale venga colpito da un detrito spaziale è inferiore a una possibilità su mille miliardi.Ma l’impatto c’è stato.E quel vetro crepato racconta ora una verità scomoda: lo spazio sopra le nostre teste non è più un luogo silenzioso e immobile. Ogni anno, migliaia di pezzi orbitano intorno alla Terra.
Sono resti di missioni passate, frammenti di satelliti dismessi, minuscoli relitti in caduta.La maggior parte si disintegra prima di raggiungere l’altitudine dei voli commerciali.Ma non tutti.In casi come questo, i piloti seguono procedure precise: riduzione immediata della quota per proteggere la cabina da una possibile depressurizzazione, deviazione verso l’aeroporto più vicino. È ciò che è accaduto anche il 16 ottobre.
E tutto è andato secondo manuale.Ma resta il “prima” e il “dopo” di quella mattina.Prima: la fiducia che il cielo fosse solo azzurro e sicuro.Dopo: la consapevolezza che anche lassù, tra le rotte ben tracciate, ci possono essere ostacoli invisibili.
L’aereo, da giorni, è fermo a terra.La compagnia conferma che il team di manutenzione è al lavoro.Le indagini dell’NTSB, l’agenzia statunitense preposta agli incidenti aerei, non sono ancora iniziate a causa dello shutdown del governo federale.E così, per ora, restano ipotesi, immagini e una certezza: quel volo ha sfiorato un frammento di qualcosa che non doveva essere lì.
Forse è solo un caso.Forse è il segnale che stiamo arrivando al limite.Le rotte non sono più solo sulla terra o nei mari, ma si moltiplicano anche nello spazio.E ciò che lasciamo lassù può tornare giù, in modo imprevisto e pericoloso.
L’incidente del volo UA1093 non ha fatto vittime.Una domanda non possiamo più rimandare:quanto ancora possiamo permetterci di ignorare il cielo che cambia?
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